4ª DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO C

Ricordati di mettere il cellulare in modalità “aereo” per non disturbare e non essere disturbato.

 

Canto

 

Atto penitenziale

Signore Gesù, come la pecora perduta abbiamo camminato sui nostri sentieri ma ci siamo smarriti: abbi pietà di noi.
Signore, Pietà!

Cristo Signore, come il figlio prodigo abbiamo cercato la libertà lontano dal Padre ma siamo diventati schiavi: abbi pietà di noi.
Cristo, Pietà!

Signore Gesù, come il giovane ricco abbiamo voluto salvarci da soli ma ce ne siamo andati tristi: abbi pietà di noi.
Signore, Pietà!

 

Colletta

Preghiamo.
Ciascuno formula in silenzio la propria intenzione di preghiera.

O Padre, che in Cristo crocifisso e risorto offri a tutti i tuoi figli l’abbraccio della riconciliazione, donaci la grazia di una vera conversione, per celebrare con gioia la Pasqua dell’Agnello. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

 

Introduzione alla Liturgia della Parola

Nel tema della riconciliazione potremmo vedere il messaggio fondamentale dell’odierna domenica.

Da parte di Dio essa è l’amore del Padre che dona all’uomo una patria (I lettura), una casa (vangelo), una personalità (II lettura).

Da parte dell’uomo è accettazione e riconoscenza per il dono di Dio (I lettura) ricerca o ritorno alla sua casa (vangelo), vita nuova in Cristo Gesù (II lettura).

 

LITURGIA DELLA PAROLA

 

Prima Lettura    Gs 5,9a.10-12

Dal libro di Giosuè

In quei giorni, il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto».

Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico. [Quel luogo si chiama Gàlgala fino ad oggi.]

Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, àzzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno.

E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.

Parola di Dio. Rendiamo grazie a Dio.

 

Salmo responsoriale  dal Salmo 33 (34)

Gustate e vedete com’è buono il Signore.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.

Gustate e vedete com’è buono il Signore.

 

Seconda Lettura    2Cor 5,17-21

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Fratelli, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.

Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione.

In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.

Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.

Parola di Dio. Rendiamo grazie a Dio.

 

Canto al vangelo        (Lc 15,18)

Lode e onore a te, Signore Gesù!
Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te.
Lode e onore a te, Signore Gesù!

VANGELO  Lc 15,1-3.11-32

Dal Vangelo secondo Luca
Gloria a te, o Signore.

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

Ed egli disse loro questa parabola:

[«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Disse ancora:]

«Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Parola del Signore. Lode a te o Cristo.

 

La professione di fede

Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra e in Gesù Cristo, Suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito da Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio, Padre onnipotente: di là verrà a giudicare i vivi e i morti.

Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la Comunione dei Santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.

Da lontano suo padre
lo vide, gli corse
incontro, gli si gettò
al collo e lo baciò

La nostra preghiera di oggi

Fratelli e sorelle, Dio ci ha rivelato il suo volto di Padre buono che accoglie nell’abbraccio del suo amore i figli che ritornano a lui. Purificati dalla sua Parola, rivolgiamogli con fiducia la nostra preghiera:
Dio di misericordia, ascoltaci!

  • Grazie, Signore, perché ci accogli nel tuo amore e ci doni il perdono dei nostri peccati. Purifica la tua Chiesa: in questo tempo di Quaresima si lasci condurre dallo Spirito nel deserto della conversione per celebrare con gioia la Pasqua del tuo Figlio.
    – Accoglici nell’abbraccio del tuo amore, Signore!
    Grazie, Signore, per la verità che fai sulla nostra arroganza di sentirci giusti come il figlio maggiore che non gioisce per il ritorno del fratello. Apri i nostri cuori al perdono e all’accoglienza.
    – Converti i nostri cuori, Signore!
    Grazie, Signore, perché nel restituirci, come al figlio prodigo, il vestito più bello, l’anello al dito e i calzari ai piedi, il tuo perdono ci ridona la dignità di persone amate da te.
    – Donaci la gioia del ritorno a te!
    Grazie, Signore, Dio della vita, per le famiglie che oggi celebrano i loro anniversari di matrimonio e sono per noi segno di un amore che ci accompagna fedelmente.
    – Donaci sempre il tuo sostegno!
    Signore, la carità e la giustizia della comunità cristiana riveli ai poveri, agli emarginati, a tutti i sofferenti e a coloro che vivono sempre in disagio, che tu sei Padre e provvidenza per tutti, ti fai vicino e dai speranza ai figli senza speranza.
    – Donaci Signore, la tua misericordia!
    Tu, Signore, sei un Padre buono che non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva: mostra la tua misericordia e accogli Benvenuto, Graziella, Renata, Sergio e tutte le nostre sorelle e i nostri fratelli defunti nella festa senza fine nel tuo regno.
    – Noi ti preghiamo Dio dei viventi!(Intenzioni personali formulate nel silenzio)

(Tutti): Tu che ci rinnovi con il perdono, Padre, ascolta il grido dei tuoi poveri: fa’ che, liberati dal male, noi guardiamo a te con volto di figli. Per Cristo nostro Signore. Amen.

 

Canto all’offertorio

 

Prefazio

Ti ringraziamo, Padre buono e grande nel perdono.
Ci uniamo alla gioia della tua casa
con le porte spalancate per ogni figlio
che riscopre la bellezza del tuo volto,
e torna a te per lasciarsi avvolgere dall’abbraccio
che manifesti in Gesù tuo Figlio.

Egli ci svela la grandezza della tua misericordia.
Solidale con i peccatori,
fatto peccato,
sempre pronto al perdono,
è capace di meravigliarci, tanto è grande il tuo amore.

Uniti a lui ci doni la dignità di figli
e avvolti nelle splendide vesti di salvezza
possiamo gustare la tua gioia
nella cena pasquale dell’Agnello
che ci apre alla speranza di partecipare
alla festa eterna del tuo Regno.

Riconoscendoci Chiesa
peccatrice e riconciliata nel tuo amore,
ci uniamo alla gioia del Cielo
e con gli angeli e i Santi,
cantiamo la tua lode:

 

Santo

Santo, santo, santo il Signore Dio dell’universo.
I cieli e la terra sono pieni della tua gloria.
Osanna nell’alto dei cieli.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Osanna nell’alto dei cieli.

 

Agnello di Dio

 

Antifona alla comunione

Prima di accostarci al Pane Eucaristico, facciamo memoria del Pane della Parola:

Figlio, bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. (Lc 15,32)

 

 

Comunione

 

 

 

Canto finale

Per la preghiera a casa

Orientamenti per la preghiera
Leggere nella bibbia: Leggi nel vangelo di Luca le altre due parabole della misericordia: Lc 15,1-7 La pecora perduta; Lc 15,8-10 La dramma perduta. Confronta queste parabole con quella del buon Pastore Gv 10,1-21 e prega con il Salmo 5

Le letture di Domenica prossima, Quinta di Quaresima – anno C
Isaia 43,16-21; Salmo 125; Filippesi 3,8-14; Giovanni 8,1-11

Il coraggio del figliol prodigo di sfidare il padre
Massimo Recalcati
Quale è la forza della parabola evangelica del figliol prodigo? Essa ci porta nel vivo del complesso rapporto tra padri e figli. La sua straordinaria attualità è evidente sin dalla sua apertura: il figlio minore reclama il diritto a ricevere subito la parte dell’eredità che gli spetta schierandosi apertamente contro la Legge ebraica che imponeva che l’eredità potesse essere divisa solo dopo la morte del padre. Egli sfida sfacciatamente il tabù del padre; non ha timore, non retrocede. La sua domanda incarna una esigenza che non può essere differita e che non conosce mediazioni. La sua forma è imperativa come riporta l’evangelista Luca. Il figlio si rivolge al padre dicendogli: «Dammi!». Il padre viene inchiodato a commettere un atto contro la Legge: dare al figlio minore la sua parte di eredità pur essendo ancora in vita. Non è questa una cifra del nostro tempo, come ricorda in un intenso commento di questa parabola Paolo Farinella in Il padre che fu madre (Gabrielli editori, 2010)? I nostri figli non sono forse animati da domande imperative, dalla spinta a realizzare il prima possibile un godimento che non tollera più alcun differimento? Non è questo forse uno scoglio sul quale sembra infrangersi il discorso educativo contemporaneo? L’esclamazione «Dammi!» misconosce il debito ribaltandolo in un credito infinito. Essere figli non implica l’iscrizione della vita nella catena delle generazioni che ci hanno preceduto, non implica alcun debito simbolico ma solo un credito sconfinato. Il figlio minore non assume nessuna responsabilità se non quella della sua domanda impaziente. E, tuttavia, è proprio questo figlio irresponsabile che infrange la Legge, che abbandona la casa del padre mettendosi in moto verso un paese lontano, il solo capace di compiere un atto fuori dalla tutela garantita del padre. Tra i due figli del padre è quello più giovane, più libero, meno vincolato al debito a compiere un passo giusto al di fuori dalla famiglia. Al contrario, il fratello maggiore resta schiacciato da una responsabilità che egli interpreta solo in modo sacrificale, come fedeltà passiva e obbediente al padre. Nella sua ottica miope e risentita il giusto erede è colui che si limita a ripetere la scelta del padre.

In questo modo la parabola lucana evidenzia due peccati contrapposti che sembrano definire due fallimenti differenti dell’eredità. Il più giovane pecca per misconoscimento del debito, mentre il primogenito per una sua interpretazione solo sacrificale; il primo sceglie la via improduttiva della rivolta nei confronti del padre, mentre il secondo quella, ugualmente improduttiva, della obbedienza rinunciataria e risentita. Per entrambi l’accesso ad una giusta eredità resta precluso. E, tuttavia, tra i due il solo capace di trasformazione è il più giovane. Conosciamo la storia: sperpererà la sua parte di eredità in un paese lontano, finirà povero a contendere le ghiande ai porci. E quando deciderà di ritornare a casa resterà ancora incapace a cogliere la radice profonda del gesto del padre che lo ha lasciato andare e che ora si appresta a festeggiare il suo ritorno. In realtà nessuno dei due figli sa davvero cosa può essere la solitudine di un padre. L’irrequietezza rivoltosa del più giovane e la fedeltà risentita del primogenito sono solo due interpretazioni nevrotiche del dono paterno. Ma solo il figlio che ha rischiato di perdersi potrà davvero conoscerlo. Il padre non punisce il figlio che ritorna, non applica su di lui la Legge, non lo castiga. Questa sarà piuttosto l’attesa delusa del fratello maggiore. Il padre spiazza la Legge perché corre incontro al figlio, lo abbraccia, lo riveste convocando una festa in suo onore. Perché? Scegliendo la via del perdono offre la possibilità al figlio di conoscere una nuova versione della Legge. Non quella che punisce, che sentenzia. Il padre della parabola è un padre capace di amare perché capace di perdonare, ovvero di sospendere l’applicazione automatica della Legge nel nome dell’esistenza di un’altra Legge. Il padre accoglie il figlio che ritorna e solo in questo gesto lo può davvero ritrovare come figlio, o, meglio, lo fa nascere una seconda volta come figlio giusto. È questo il nucleo più profondo della parabola: non è forse la forza straordinaria del perdono a rendere possibile il miracolo della resurrezione? A consentire il ritrovamento di chi si è perduto, a consentire una seconda possibilità? È questa l’immagine evangelica del pastore che si preoccupa dell’eccezione inquieta della pecora smarrita trascurando la normalità tranquilla del resto del gregge. Il comportamento del pastore appare scriteriato dal punto di vista della ragione: perché mettere a repentaglio un patrimonio intero per rincorrere una sola pecora? Egli però si allarma perché vuole dare testimonianza del fatto che «gli uomini non sono fatti per la Legge», ma è la «Legge che è fatta per gli uomini». Il padre sa bene che la festa in onore del figlio spiazza ogni applicazione canonica della Legge aprendo la porta all’evento sempre possibile della grazia. Ma non dobbiamo leggere in questa apertura imprevedibile, ma possibile, dell’eccezione la differenza tra il Dio biblico e quello pagano che, invece, condanna spietatamente il figlio-Edipo al suo irrevocabile destino di figlio perduto, incestuoso e parricida? Non è forse per questa ragione che il Dio cristiano è sempre più interessato agli atei che non ai credenti? Che la sua gioia è maggiore «per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione» (Lc, 15,7.10)?

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